Introducendo i lavori della Consulta dell’Ufficio Liturgico nazionale dedicata in gran parte a una prima presentazione del nuovo rito delle esequie il 2 novembre 2013 Mons. Mariano Crociata così si esprimeva:
In una società che spesso dimostra di avere smarrito la grammatica essenziale del morire e della morte, giungendo, a volte, fino a ignorare la dignità di un corpo senza vita, la Chiesa continua a celebrare la morte e a rappresentarla, integrandola pienamente nella vita privata e pubblica. Se, come credenti in Cristo e come comunità ecclesiale, confessiamo la nostra fede nella resurrezione dei morti, nei confronti dell’intera società abbiamo il compiuto urgente, da onorare anche attraverso i riti funebri, di annunciare il senso cristiano e di umanizzare la morte, affermando con forza la dignità di ogni uomo e di ogni donna che muore. La seconda edizione italiana del Rito delle Esequie sarà uno strumento prezioso e imprescindibile a servizio di una pastorale illuminata di impronta missionaria.
Infatti per la stragrande maggioranza dei cristiani la celebrazione in atto resta il primo, se non l’unico strumento per la trasmissione della fede e la formazione progressiva dei battezzati. E il rinnovamento conciliare – come affermava Giovanni Paolo II – è entrato nel tessuto ecclesiale soprattutto attraverso la liturgia celebrata.
A scanso di equivoci, devo premettere che il rinnovato rito delle esequie è opera eminentemente ecclesiale: tutti i vescovi per ben due volte hanno avuto in mano la bozza e hanno potuto esaminarla per mezzo dei loro esperti e proporre le loro osservazioni e i loro suggerimenti, ed è stato approvato dalla loro assemblea con soli 4 voti contrari. Come leggiamo nella Presentazione che essi fanno della nuova edizione, essa:
C’è il rischio concreto, tuttavia, come insegna l’esperienza, che si presti attenzione unicamente alla cremazione e alla sua regolamentazione canonica e rituale, che è sicuramente la novità più appariscente, ma sicuramente non è la cosa più importante. Sarebbe un vero peccato e un’occasione sprecata per le nostre comunità.
Il rituale infatti ha orizzonti più ampi. Nasce dal desiderio di rispondere al nuovo contesto culturale caratterizzato dalla tendenza, accentuatasi negli ultimi decenni, a fuggire dal pensiero della morte, quasi a volerla escludere dall’orizzonte delle concrete esperienze.
La morte ha fatto sempre paura all’uomo che si sente fatto per la vita, ma oggi c’è la tendenza a rimuovere persino il pensiero della morte. E’ sotto gli occhi di tutti la rimozione o tabuizzazione della morte, le cui cause complesse non è qui il luogo di esaminare.
Vediamo così che si muore spesso in ospedale o nelle case per anziani, lontani dalla propria casa e dai propri cari. Molte volte il defunto passa direttamente dall’ospedale al cimitero, scompaiono in casa e nella città i segni del lutto, si impedisce ai bambini di vedere i propri cari morti, si evita persino di nominare la morte, e anche la vecchiaia, ricorrendo ad eufemismi per indicarle.
E questo non è soltanto un dramma per chi muore, ma anche un impoverimento per chi vive, che viene privato dell’umanissima esperienza della morte dei propri cari, tirocinio alla propria. Anche se poi i mezzi di comunicazione lo spettacolo della morte si premurano di mettercelo continuamente sotto gli occhi, in diretta e in maniera spietata, con i quotidiani incidenti stradali, ferroviari, aerei, marittimi e sul lavoro, i morti per droga, i disastri naturali, fortuiti o provocati dall’imprevidenza o insipienza umana, i terremoti, le alluvioni, le frane, gli attentati, le stragi, le scene di guerra, i suicidi. E se essi lo fanno, vuol dire che ritengono di poter contare su una audience tale da non risultare in perdita sul mercato.
Queste situazioni, come avvertono i vescovi nella citata Premessa, tuttavia recano con sé anche una profonda domanda di prossimità solidale (l’uomo da solo non si sente capace di affrontare l’evento della morte propria e dei propri cari, perciò fugge dinanzi ad esso), e aprono a un’autentica ricerca di senso. Quella delle esequie, nonostante tutto, è la celebrazione maggiormente richiesta e generalmente la più frequentata.
L’azione pastorale della Chiesa in questa situazione è più che mai sollecitata ad annunciare la speranza della risurrezione fondata sulla fede nel mistero pasquale di Cristo morto e risorto, e a proporre un cammino di fede, per aiutare ad affrontare nella fede e nella speranza l’ora del distacco e a riscoprire il senso cristiano del vivere e del morire.
Perché il nuovo rituale entrando in vigore sia colto in tutta la sua ricchezza, è necessario però conoscerlo nei suoi contenuti, nella sua articolazione, nelle possibilità che offre: per questo alla Consulta dell’ULN dello scorso novembre molti interventi sottolineavano l’opportunità di presentarlo non soltanto a livello diocesano e di vicariati, sulla stampa diocesana e locale, in trasmissioni radiofoniche e televisive, con il coinvolgimento anche dei responsabili dei servizi funebri e cimiteriali.
E’ molto opportuno che il rito venga presentato anche ai fedeli, approfittando della novità rappresentata dalla possibilità della cremazione e facendo dell’entrata in vigore del nuovo rito un’occasione per riscoprire e cogliere il progetto globale che esso intende trasmettere.
Senza dimenticare che la gran parte dei fedeli conosceranno il nuovo rito, e soprattutto il messaggio di fede che esso veicola, soltanto dalle celebrazioni che sperimenteranno. Nessun’altra celebrazione liturgica tocca tante persone, più o meno credenti, più o meno praticanti, quanto la celebrazione delle Esequie, e in una circostanza che rende tutti più disponibili alla recezione del messaggio cristiano. Da qui la necessità di ben celebrare facendo tesoro di tutte le opportunità che il rituale offre.
Ma percorriamo i vari momenti del rito, così come è proposto dal libro liturgico. Esso prevede tre stazioni, o momenti: in casa, in chiesa, al cimitero.
Molti fedeli, in certe zone la stragrande maggioranza, compie oggi l’ultimo esodo nelle strutture ospedaliere, in case per anziani o in strutture che accompagnano alla morte, e, soprattutto nelle parrocchie urbane, l’annuncio della morte giunge in parrocchia tramite le agenzie funebri.
Con tutto ciò, tenendo presente la diversa situazione urbana e rurale, il rituale italiano (come del resto quello francese fin dal 1994) ha inserito uno schema di preghiera presso la famiglia, sia che il defunto sia morto in casa, o in altro luogo, uno schema snello e flessibile con acclamazioni, invocazioni bibliche, lettura breve, salmo responsoriale, orazione.
La preghiera, secondo il rituale può essere guidata dal ministro ordinato, ma che anche da un laico idoneo. Eventualità che sarà sempre più frequente, e non solo per la preghiera in famiglia. Tale situazione impegna a progettare la formazione di ministri laici (cf RE, Presentazione CEI, 5; Premesse, 19). Si tratta di un ministero pastorale che, in ogni caso, concorre anche a liberare la parrocchia da un’immagine che la riduce spesso ad un ente per l’erogazione di servizi religiosi dalla culla alla tomba.
La veglia intorno al defunto, sin dalla remota antichità è un rito domestico. Per questa ragione, in tempi più recenti, essa si è identificata con il semplice e popolare rosario. Opportunamente (e con molta preveggenza pastorale!) già il rituale del 1974 proponeva la possibilità di una veglia strutturata come celebrazione della Parola (cf RE, I ed., nn. 26-28). La rubrica è ribadita anche nella seconda edizione del RE.
A partire dagli anni ’60, soprattutto nelle regioni del nord Italia, per semplici ragioni logistiche urbane (i condomini), si è instaurata la prassi di radunare familiari, amici e conoscenti in chiesa per la veglia, ed essa raduna non di rado un numero di persone maggiore della stessa celebrazione del funerale, per ovvie ragioni di orario post-lavorativo.
Qualificare liturgicamente questa veglia, in casa o in chiesa, con la Parola di Dio, con opportuni e brevi interventi, senza lungaggini, con qualche elemento che si richiami alla devozione popolare, sembra un’urgenza tutt’altro che secondaria anche se impegna maggiormente per la scelta e la composizione dei testi secondo le circostanze (cf RE, Presentazione CEI, 6).
A questo proposito è il caso di ricordare che il sussidio della CEI Proclamiamo la tua risurrezione (2007) resta sempre, soprattutto per la veglia, un’utile raccolta di testi.
Nei piccoli centri, il ministro ordinato (prete o diacono) si reca ancora nella casa per prelevare il corpo del defunto prima che la bara sia chiusa. Nei grandi centri ciò è diventato assai raro. La chiusura della bara (perdita del volto) costituisce un momento traumatico, di forte emozione che necessita di essere supportato dalla fede e dalla preghiera cristiana e non lasciato ad una fredda prassi funzionale. Per questo la seconda edizione del rituale italiano prevede che anche un laico idoneo possa guidare questo momento di preghiera. È da queste piccole cose che tutti, compresi i poco o per nulla praticanti, si accorgeranno che qualcosa è cambiato nel rituale, anzi, nella Chiesa, e soprattutto recepiranno il messaggio che il rituale intende comunicare.
Tralasciamo la processione dalla casa verso la chiesa, poiché di fatto è quasi scomparsa, salve che per i piccoli centri. Per quanto riguarda la celebrazione in chiesa vale ciò che è detto per qualsiasi altra celebrazione liturgica: deve esser «seria, semplice e bella… veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini» (CVMC 49).
Il rituale prevede anzitutto l’accoglienza in chiesa: il sacerdote si reca alla porta della chiesa e dopo un fraterno saluto, per es.: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”, asperge il corpo del defunto e pronunzia un’orazione per il defunto e una per i familiari in lutto.
La forma normale delle esequie prevede la celebrazione dell’eucaristia che, prima che suffragio – è il caso di ricordarlo – è rendimento di grazie (“eucaristia”) a Dio per la morte e risurrezione di Cristo che si è compiuta anche nella vita del defunto, per quanto per mezzo di Cristo Dio Padre ha operato nella vita del defunto, per quello che per mezzo di lui ha donato alla Chiesa e alla famiglia umana, e ancora comunione tra i vivi e i morti.
Nessuno mette in dubbio l’ideale della celebrazione eucaristica durante il rito delle Esequie. Non si deve dimenticare, però, che la celebrazione dell’Eucaristia presuppone un’assemblea di credenti. Nell’attuale situazione, particolarmente nei grossi centri urbani, l’assemblea non sempre è tale. Con maggiore forza la seconda edizione del RE ribadisce che «possono presentarsi situazioni pastorali nelle quali è opportuno, o addirittura doveroso, tralasciare la celebrazione della Messa e ordinare il rito esequiale in forma di liturgia della Parola» (RE, Precisazioni CEI, 2; RE, 6).
In certe circostanze – osserva Silvano Sirboni – è diventato assai imbarazzante il momento della comunione durante la Messa esequiale dove si accostano alla mensa eucaristica persone che, per quanto è dato di valutare umanamente, non pare che abbiano le dovute disposizioni. Né è lecito abolire la comunione in queste Messe, e neppure appare opportuno premettere alla comunione un «riassunto» delle norme canoniche al riguardo! Qualcuno purtroppo lo fa a scapito di tutta la celebrazione mettendo a disagio anche coloro che hanno le disposizioni e che accostandosi alla comunione dopo un simile intervento, sentono di porsi inevitabilmente, e al di là delle intenzioni, in contrapposizione agli «altri». Sarà pastoralmente opportuno affrontare anche il problema della Messa esequiale; ovviamente non dalla singola comunità parrocchiale.
La celebrazione sia con la messa che nella liturgia della parola si conclude con l’ultima raccomandazione e il commiato. Dopo la monizione introduttiva, secondo le consuetudini locali possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto. Il testo sia precedentemente concordato e non sia pronunciato dall’ambone. Si deve assolutamente evitare il ricorso a testi o immagini registrati, come pure l’esecuzione di canti o musiche estranei alla liturgia (Precisazioni CEI 6).
La processione al cimitero, dove è ancora possibile, è senza dubbio di forte impatto emotivo, se accompagnata dalla preghiera e dal suono delle campane. È, però, una realtà più immaginaria che reale, salvo qualche rara eccezione dove il cimitero non dista molto dalla chiesa. È invece possibile, anzi più che opportuna, la preghiera che accompagna il momento della sepoltura o tumulazione. Il rituale offre opportuni schemi di preghiera. Se in questo momento conclusivo delle Esequie è sempre più difficile la presenza del ministro ordinato, è assai auspicabile la presenza della comunità locale almeno attraverso un ministro laico che accompagni questo momento traumatico con la luce della Parola di Dio e con il conforto di quella preghiera che esprime e alimenta la speranza cristiana.
Ancora una volta emerge l’urgenza pastorale di formare un gruppo di laici preparato e dignitoso per assolvere a questo compito che, tra l’altro, cambia l’immagine della parrocchia.
Il capitolo del RE riguardante la cremazione è la vera novità della seconda edizione del rituale. Al giorno d’oggi la cremazione non suscita più tanta meraviglia, né scandalizza, pur nella diversità di opinione e di scelta. In alcune grandi città del nord Italia la scelta della cremazione sta raggiungendo il 30%, in altre è quasi obbligata dalla difficoltà a trovare sepolture al cimitero.
La scelta preferenziale dell’inumazione da parte della Chiesa deve essere non solo affermata, ma anche giustificata alla luce della tradizione, della storia e della Parola di Dio, ma senza insostenibili ostracismi colpevolizzanti. In ogni caso, non solo la celebrazione delle esequie, ma anche le forme di sepoltura e gli stessi cimiteri, per quanto dipende da noi, devono testimoniare la fede in Dio e la speranza nella risurrezione.
La potenza della risurrezione oltrepassa ogni limite umano e non è ostacolata dalle modalità di sepoltura. Perciò in assenza di motivazioni contrarie alla fede, la Chiesa non si oppone alla cremazione e accompagna tale scelta con apposite indicazioni liturgiche e pastorali.
Per queste ragioni il rituale vuole che le esequie vengano celebrate prima della cremazione. Quando ciò non è possibile, come nel caso che i resti del defunto vengano da lontano, a giudizio del vescovo, le esequie con la messa o nella liturgia della parola, possono essere celebrate in presenza dell’urna cineraria, usando testi adatti (per es. non il prefazio IV che parla di corpo) ed evitando aspersione e incensazione (cf . RE 180-185).
La novità può costituire l’occasione per informare i fedeli sulle origini e la storia di questa prassi che non contraddice affatto la fede nella risurrezione. Qualcuno alla consulta dell’ULN suggeriva di prendere occasione dalla novità del rito per programmare nelle comunità parrocchiali e anche nella diocesi uno o più incontri per parlare non solo della cremazione, ma anche e soprattutto della visione cristiana della morte e dell’aldilà con correttezza teologica e storica. In questo contesto è possibile far comprendere la non opportunità della dispersione delle ceneri, che non permette l’elaborazione del lutto e favorisce la perdita della memoria.
In conclusione nell’attuale situazione parrocchiale, sebbene in evoluzione anche a causa della crescente diminuzione del clero, il parroco resta ancora, per il momento, il tramite più importante per una corretta e fruttuosa recezione del messaggio di fede contenuto nel rito delle esequie. E’ quindi il parroco, o chi per lui, che deve essere convinto per primo della forza educativa della celebrazione liturgica e sentire pertanto la necessità di acquisire formazione e competenza (arte del celebrare) non senza l’aiuto di sussidi che servano anche per itinerari di formazione per ministri laici la cui presenza e idoneità sarà determinante in un futuro assai prossimo.
Probabilmente il rituale non soddisferà tutte le esigenze, ma un rituale perfetto lo avremo soltanto nella Gerusalemme celeste e anche quello forse non soddisferà tutti i gusti. Questo comunque è il rituale che oggi la Chiesa mette a nostra disposizione per celebrare per annunziare la morte e risurrezione del Signore in presenza di un fratello che passa da questo mondo al Padre e per portare consolazione a coloro che piangono per la sua dipartita.